Gli spiriti inquieti della città magica

La nostre storie di presenze inquietanti si svolgono in una Torino del settecento dove non c’era  né la  nuova Fiat né la Juventus, in una città che si sforzava di assumere l’aspetto di una vera capitale, aveva attinto alla maestria di Juvarra per mostrare all’Europa i suoi  nuovi edifici d’avanguardia, nel panorama architettonico; dove nel 1856 nacque la prima società spiritica italiana a cui aderirono anche alcuni membri del Parlamento.

Da essa si sviluppò nel 1863 la Società Torinese di Studi Spiritici. Era l’epoca in cui il Conte Cavour, morto nel 1861, colloquiava dall’aldilà con Massimo D’Azeglio.

Tra gli studiosi affascinati dalle apparizioni delle entità troviamo Cesare Lombroso che se ne occupò assiduamente, lasciando stupefatto l’intero ambiente scientifico.

Lombroso era stato “perito” nel clamoroso processo ad alcuni magnetizzatori che si servivano delle sonnambule per truffare i clienti. In questi stessi anni esplodeva il mercato delle fotografie scattate a presunti fantasmi durante le sedute spiritiche, che anticipava la pratica, assunta molto più tardi, di registrare presunti messaggi dall’altro mondo. Torino, dunque, avrebbe  una ricca tradizione di fantasmi.

Tra questi, troviamo a Palazzo Barolo il fantasma di Elena Matilde Provana di Druent, la figlia dell’arcigno e avarissimo Monsù Druent. Sposò, per volontà del padre, il cugino, il marchese Gerolamo Gabriele Falletti di Castagnole. Ma il suocero non pagò la dote della sposa, e piuttosto che aderire alle richieste del genero si riprese la figlia in casa. La poveretta separata dal marito e dai due figli, impazzì per il dolore e nel 1701 si suicidò lanciandosi da una finestra del primo piano.

La bella Elena Matilde, non ha abbandonò il palazzo e appariva spesso ai domestici scarmigliata, con la camicia da notte macchiata di sangue,  e nel frattempo si aggirava nella sua stanza guardando i bei mobili e poi usciva dalla finestra, dalla stessa finestra da cui si era gettata.

In una soffitta di via San Francesco da Paola pare che abbia dato segno della sua presenza la Bela Caplera che aveva tradito e poi assassinato il marito e quindi ghigliottinata  in quella che i torinesi chiamano piazza Carlina (piazza Carlo Emanuele).Viene riferito che il boia, dopo l’esecuzione della poveretta, ne afferrò per i capelli il capo, lo schiaffeggiò mostrando alla folla la testa sanguinante. Alberto Virgilio riferì la testimonianza di Secondo Berruti, un medico che assisteva la fine di diversi condannati. Sembra che tale medico avesse fatto promettere alla Bela Caplera un segno per dirgli se, a esecuzione compiuta, sentisse ancora sofferenza. Mentre il boia esibiva la testa alla gente, intorno al patibolo, gli occhi della decapitata si volsero verso il medico e ne uscirono abbondanti lacrime. Da allora, secondo alcuni studiosi dell’occulto, anche senza essere evocata, la Bela Caplera si sarebbe manifestata in più occasioni..

In certe notti si manifestavano ombre nell’abbandonato cimitero di San Pietro in Vincoli: erano gli appassionati di occulto che compivano riti con candele e stoffe bruciate. Erano soprattutto attratti da la statua detta “La Velata” scolpita a Firenze nel 1794 da Innocenzo Spiazzi, che vuole rappresentare la morte. Il monumento venne eseguito per la tomba della principessa russa Barbara Beloselkij, morta nel 1792 ad appena 28 anni. La donna con tre piccoli figli, moglie di un ambasciatore presso la corte dei Savoia, giunse in Italia in precarie condizioni di salute  e a causa  e delle complicanze  sopraggiunte successivamente a un aborto, perì.

Fu forse il dispiacere di non aver potuto godere nemmeno di qualche istante la nuova residenza, o forse per semplice sfizio, che secondo una credenza popolare la donna rimase a “vivere” a Torino anche da morta apparendo come fantasma.

Barbara fu ribattezzata Varvara dagli spiritisti: la leggenda vuole che il suo fantasma passeggi di notte intorno al cimitero di San Pietro in Vincoli, e che lì porti i suoi inconsapevoli amanti per poi sparire.

Uno dei testimoni, il tenente d’artiglieria Enrico Biandrà, se la vide spesso comparire nel suo alloggetto, e fu tanto preso dalla sua eterea bellezza che se ne innamorò.

L’epigrafe sulla  sua tomba, che il  marito le aveva dedicato, scomparve misteriosamente  ed anche le ossa della povera Barbara , per la chiusura nel 1930 di San Pietro in Vincoli voluta dal Comune a causa delle messe sataniche, furono  traslate al cimitero generale.

La statua della “Velata”, invece ebbe una sorte travagliata: venne portata nei sotterranei della Mole Antonelliana, poi restaurata  fu esposta alla Galleria d’arte Moderna ed infine trovò sede al Cimitero generale.

Ma pare che nel piccolo cimitero di San Pietro in Vincoli, il fantasma della Velata si aggiri ancora.

Chissà se queste inquietanti presenze ci sono ancora ai giorni nostri? Allora, potremmo ancora vedere tra le altre entità che popolerebbero Torino, il fantasma di Filippo d’Agliè, amante di Madama Cristina sulla Chiesa del Sagrato del Monte dei Cappuccini o veder passare, nelle notti di temporale, trainata da cavalli infernali, la carrozza di Madama Cristina che aveva fama (ingiusta) di essere donna spietata e di far uccidere i suoi numerosi e giovani amanti; o uscire dalle Tombe reali di Superga il fantasma di Maria Adelaide di Savoia; o il soldato che abita i sotterranei della Cittadella o, ancora, in via Maria Vittoria il fantasma di Don Gnavi, che torna dove venne crudelmente assassinato.