Gli assessori delle grandi città italiane auditi in commissione Cultura al Senato

Soddisfazione per l’apertura dei musei nei festivi e per l’attenzione posta alla riapertura dei luoghi di spettacolo ma necessità di una strategia a lungo termine per garantirne la sostenibilità; costituzione di un tavolo consultivo permanente; una legge per i lavoratori di cultura e spettacolo; pianificazione e certezza sui ristori e un “fondo cultura” per le città. Queste alcune delle richieste formulate dagli assessori alla cultura delle più importanti città italiane durante l’incontro in commissione cultura del Senato, presieduta da Riccardo Nencini.

Erano presenti gli assessori alla cultura di Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino, Venezia, città che, insieme a Palermo e Ancona, da un anno costituiscono un comitato informale per affrontare in maniera coordinata le moltissime emergenze. Con loro ascoltate in commissione anche le città di Trieste e Catania.

Gli assessori hanno manifestato la propria soddisfazione per l’estensione della apertura dei musei anche nei giorni festivi e per l’attenzione prioritaria finalmente posta sulla necessità di riaprire i luoghi di spettacolo, ma hanno chiesto la garanzia di una strategia a lungo termine con un protocollo unico in tutta Italia, a meno di situazioni sanitarie particolarmente gravi, così da evitare gli ‘stop and go’ dei mesi scorsi.

E’ poi urgente, secondo gli assessori, una legge ad hoc per i lavoratori del comparto: addetti molto variegati, molto spesso sottopagati, ‘invisibili’ e poco tutelati, che da un anno vivono nell’incertezza più profonda.

A questa si devono aggiungere garanzie sui ristori e un ‘fondo cultura’ per le città capoluogo oltre agli altri fondi per le città previsti dal Governo: le grandi città italiane hanno sofferto infatti la chiusura delle attività culturali e di spettacolo nonché il crollo del turismo e hanno ora un assoluto bisogno di trasferimenti specifici per la rinascita post pandemica.

Infine gli assessori hanno ribadito la loro disponibilità alla costituzione di un tavolo permanente di confronto tra ministero, commissioni competenti ed enti locali così da garantire un dialogo costante con le città, vere ‘antenne’ degli ecosistemi culturali complessi e fragili e portavoce istanze del territorio.

Intervento assessora Francesca Leon in audizione alla VII Commissione Cultura e Istruzione del Senato

Fin dall’inizio della pandemia con 12 colleghi e colleghe assessori con deleghe alla cultura abbiamo sentito il bisogno di fare massa critica, di confrontarci per agire a favore dei nostri ecosistemi culturali.

Le città e chi amministra la cultura nei territori sono gli sportelli a cui tutti si rivolgono, sono i punti di riferimento di un mondo, quello culturale, complesso, fragile che negli ultimi 15 anni ha lottato per restare attivo, per continuare a produrre, nonostante un calo costante e molto significativo delle risorse pubbliche, soprattutto degli enti locali.

Per dare un dato di riferimento: A Torino le risorse comunali sono calate dai 130 milioni del 2005 ai 44 milioni di oggi. Le organizzazioni culturali e le amministrazioni hanno lavorato in tutti questi anni sulla diversificazione delle risorse, sulla capacità di autofinanziamento, sulla acquisizione di competenze. Oggi quel modello si è sgretolato sotto i colpi del virus.

I dati recentemente diffusi dalla SIAE sono inequivocabili e questi dati andranno integrati con quelli di Unioncamere registrando le perdite delle diverse filiere produttive.

Con il nostro coordinamento abbiamo portato all’attenzione istanze a cui gli interventi di ristoro dello Stato non davano ancora risposta, siamo stati insistenti e anche irrituali, sollecitando ministri, capi di gabinetto, conferenza delle regioni, Anci.

E siamo stati in parte ascoltati, e di questo dobbiamo ringraziare: nei diversi decreti che si sono succeduti sono stati ampliati i ristori al mondo del lavoro e alle organizzazioni culturali con strumenti diretti e indiretti.

E’ anche alle città che i lavoratori, le lavoratrici, le organizzazioni chiedono supporto, perché i loro problemi vengano portati all’attenzione di regioni e governo, perché è soprattutto nelle città che si sviluppa la loro attività con ricadute importanti su diversi settori economici, sulle relazioni sociali, sulla coesione, sulla capacità creativa e innovativa del territorio.

Ma non basta e il 2021 si presenta peggiore di quello passato.

Oggi ci rivolgiamo al Parlamento e al Governo per tracciare una nuova strada insieme.
Il lavoro culturale è un’emergenza antica che la pandemia ha aggravato mettendo in luce tutta la sua drammaticità. L’osservatorio culturale del Piemonte ha stimato esistere in Italia circa 300 mila lavoratori e lavoratrici cosiddetti “invisibili”. Comprende atipici, intermittenti, partite iva, stagionali, cococo, occasionali. Ci si muove in un universo di banche dati che non dialogano, in una tassonomia obsoleta e di stampo novecentesco che si ritrova nei codici ateco e nelle categorizzazioni delle professioni, non rispondenti alla natura e alle condizioni specifiche del lavoro, delle imprese culturali e creative e del mondo digitale.
Occorre semplificare e fare chiarezza tra norme parcellizzate e a volte in contraddizione.

Chiediamo al Parlamento e al Governo di intervenire per garantire dignità e tutele a lavoratori e lavoratrici del settore, discontinui per la natura del lavoro che svolgono. E bisogna farlo adesso, rapidamente. Reti informali, organizzazioni professionali e di categoria, le stesse organizzazioni sindacali chiedono un tavolo interministeriale Lavoro Mise e MIC, e invocano una riforma strutturale del lavoro culturale.

Faccio appello a tutte le forze politiche perché insieme intervengano. E’ un bel segno di attenzione che siano stati presentati diversi disegni di legge su questo tema, ma ora bisogna fare in fretta, qualsiasi sia il percorso che verrà scelto, decreto delegato governativo o disegno di legge di iniziativa parlamentare.

Ma non basta.

Ci deve essere un confronto sistematico tra governo e città perché gli spazi urbani sono il campo di azione e i comuni sono le sentinelle di un mondo che rischia l’estinzione e di luoghi che rischiano la desertificazione. Le città, e in particolare le periferie, sono bombe ad orologeria di cui leggiamo avvisaglie preoccupanti sulle cronache dei giornali. Le conseguenze delle restrizioni e delle chiusure prolungate di istituti scolastici e università, dei luoghi di ritrovo, delle attività sportive hanno e avranno conseguenze importanti sulle giovani generazioni in termini di povertà educativa e relazionale.

L’alleanza tra governo e città permette di intervenire in modo più efficace, restituendo la complessità e la consapevolezza di quanto decisioni indispensabili nel quadro di contenimento della pandemia incidano sul tessuto urbano, una consapevolezza che a livello centrale, in particolare sul settore culturale e ricreativo non si può raggiungere se non attraverso la lente di chi amministra le città.

Nell’audizione di oggi ciascuno di noi traccerà un quadro e metterà l’accento su aspetti diversi, comuni a tutte le nostre aree urbane e alla fine di queste audizioni avrete un quadro complessivo in cui tutti ci riconosciamo.

Ci sono intere filiere che non sono state considerate nei ristori e che rappresentano la linfa vitale della produzione culturale e della vita delle nostre comunità. Mi limito a fare un solo esempio, rimasto più di altri in ombra per la sua marginalità nel sistema dell’informazione nazionale, realtà che si sono espresse con il grido muto de l’ultimo concerto.

I circoli e le associazioni culturali di base attivi in Italia, facendo anche solo riferimento alle due associazioni nazionali ARCI e ACLI, sono circa 8.000. Pur in assenza di un censimento attendibile, sono attive sull’intero territorio nazionale altre migliaia di presidi culturali territoriali, sono spazi dove si fa musica, teatro, danza, incontri, laboratori e corsi dall’infanzia alla terza età, attività formative che vanno dall’alfabetizzazione digitale a corsi di lingua italiana per nuovi cittadini. Molti di questi spazi offrono servizi di informazione e assistenza alla cittadinanza, anche in collaborazione e convenzione con le amministrazioni comunali.

Sono luoghi fondamentali di vita sociale e culturale di prossimità, spesso in quartieri periferici, che avranno un ruolo determinante nel mondo post pandemico. Sono luoghi nei quali operano decine di migliaia di artisti, tecnici, montatori, dove crescono talenti, dove si sviluppa quella produzione culturale underground che alimenta la vita delle nostre comunità. Sono palestra di talenti, luoghi della creatività contemporanea e della solidarietà.

Ebbene le conseguenze subìte da questo universo non sono note semplicemente perché lo Stato ha applicato criteri per i ristori che non sono applicabili a un mondo che, per statuto, non può vivere di entrate commerciali prevalenti e non ha obbligo di possesso di partita iva ma, nondimeno ha visto un crollo delle proprie entrate istituzionali del 90%. I ristori accordati sono stati minimi e li ha potuti richiedere solo chi aveva partita iva (a Torino circa il 70% di questi è escluso). La possibilità della cessione del credito di imposta previsto nella prima ondata non è più stato accordato, così come la garanzia di stato sui prestiti. Con l’imminente attivazione del Registro Unico del Terzo Settore emergerà finalmente questo baratro a cui bisogna porre rimedio applicando i giusti criteri.

Recentemente abbiamo proposto una alleanza tra comuni e governo per condividere una strategia di lungo periodo, con protocolli nazionali condivisi e aperture non reversibili, chiedendo l’istituzione di un Fondo Cultura destinato ai comuni per garantire la sopravvivenza degli ecosistemi culturali urbani, indispensabili per la coesione sociale delle comunità. Con una strategia condivisa a livello nazionale, poggiata sulla sussidiarietà, sulla collaborazione, sulla cooperazione tra territori di area vasta più che sulla competizione.
La cultura può svolgere un ruolo fondamentale nella ricostruzione post pandemica a condizione che non si dimentichi che le amministrazioni comunali gestiscono direttamente o tramite organizzazioni partecipate il 90% dei presidi culturali diffusi (musei, teatri, biblioteche). Dare forza ai comuni vuol dire dare forza alle comunità.

Noi ci siamo, con lealtà, senso di responsabilità e competenza.

Francesca Leon