BD, Simona Forti: “La transizione trasforma il lessico”

 

di Mauro Marras

 Simona Forti è professore ordinario di Storia della filosofia politica presso l’Università del Piemonte Orientale. È nota in Italia e all’estero soprattutto per i suoi studi sul pensiero filosofico e politico di Hannah Arendt, di cui ha curato numerose edizioni per gli editori Feltrinelli ed Einaudi. È presidente di Bios, centro di ricerca internazionale e interdisciplinare sulla bioetica e la biopolitica ed è membro del comitato scientifico della manifestazione culturale Biennale Democrazia, per cui cura quest’anno la sezione Lost in transition.

L’espressione “Lost in transition” contiene la parola “transizione”, che è in parte sinonimo di “Passaggi”, il tema della Biennale di quest’anno. Perché la scelta di parole come Fama, Fedeltà e Rettitudine in questo contesto?

Nel pensare “Lost in transition” mi sono chiesta se oggi il vero gesto anti-convenzionale, più che aggiornare con l’ennesimo neologismo l’interminabile sequela dei post, non stesse nel ri-descrivere, senza nostalgia, ma con uno sguardo impietoso, il contenuto di termini che un tempo rimandavano a valori e che oggi invece ci suonano desueti.

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Simona Forti

Si tratta di dare voce ad alcuni significati inespressi di alcune parole che abbiamo lasciato cadere, come nel caso di “fedeltà”; di portare invece allo scoperto il lato per così ‘oscuro’ di una parola ritenuta nobile, come per esempio “rettitudine” o, ancora, di seguire le trasformazioni contemporanee di un concetto antico e alto come quello di “fama”.

Io credo che la sfida oggi, almeno la sfida che a me interessa e a cui tento di rispondere col mio lavoro, sia quella sì di decostruire il lessico che abbiamo ereditato, di smontarlo cioè per ripensarlo da capo in maniera contemporanea, ma anche quella di utilizzarlo come strumento di critica nei confronti di un duplice conformismo: da una parte, il conformismo di una riflessione normativa che vuole sanare i ‘vizi’ della nostra tarda modernità imponendole il ritorno a virtù ormai anacronistiche e inaccessibili, e, dall’altra, il conformismo di un atteggiamento intellettuale che si vuole a tutti i costi già sempre “al di là”, e che in questa corsa all’oltrepassamento rischia di annullare la vera natura del pensiero.

Riaffermare la necessità dei una conoscenza profonda del significato delle parole nell’epoca della comunicazione globale, del parlottio spesso insensato della Rete, ha ancora la possibilità di trovare attenzione? Secondo lei c’è ancora un bisogno sentito di chiarezza, di sapere di cosa parliamo quando parliamo (o quando ascoltiamo)?

Non possiamo certo analizzare qui la validità di queste domande e di queste diagnosi, ma se sempre nuovi termini si susseguono non è solo per un vezzo linguistico. Non è cioè solo il fascino di una moda intellettuale a catturare il nostro linguaggio. I neologismi sono anche il tentativo, da parte nostra, di fissare in un nome, in una categorizzazione, il disorientamento che proviamo.

Più in generale, sono il segno che spesso le parole che abbiamo ereditato, se non vengono ripensate da capo, non possono più aiutarci a comprendere il cambiamento della nostre condizioni: cambiamenti economici, politici, sociali. Ma anche e in primo luogo cambiamenti antropologici.

Ora, la percezione di essere nel mezzo di una transizione profonda da una parte ci inquieta, ci sradica, ma dall’altra ci spinge a una re-interrogazione del senso, e in primo luogo, ovviamente, del senso delle parole.

La filosofia può ancora salvare il mondo?

No, certo, la filosofia non può salvare il mondo e non lo hai mai salvato. Può però aiutare, aiutare ciascuno, a orientarsi in quella che è un’esigenza inesauribile: la ricerca del senso. E oggi orientarci nel vortice velocissimo dei cambiamenti non è facile.

Come molti affermano, siamo ormai oltre il post-moderno. Perché la cosiddetta condizione post-istorica è diventata un’acquisizione di senso comune. Fine delle grandi narrazioni: non solo delle ideologie, ma anche fine della fiducia che le nostre azioni, nel corso della storia, raggiungano uno scopo o anche soltanto lascino un segno. Anche dal punto di vista politico non si esita a definire post-statali e post-democratici i paesi occidentali in cui viviamo. Così come si dà per scontato che le consuete distinzioni etiche non possano più guidarci nel comportamento e nel giudizio. E la domanda forse più assillante è quella che si interroga sullo statuto stesso dell’umano. Si moltiplicano libri, discussioni intorno ai diversi significati di post-umano.

Incontri

Lost in transition: Fama e Celebrità 26 marzo

Lost in transition: Fedeltà 27 marzo

Lost in transition: Rettitudine 28 marzo