Un’organizzazione del lavoro che coniughi anche nel pubblico impiego stabilità e tutela nei contratti, con una maggiore flessibilità e responsabilizzazione nella gestione del rapporto di lavoro: è questo uno degli obiettivi del disegno di legge sul “lavoro agile” approvato lo scorso 28 gennaio dal Parlamento.
Superato il parere della Commissione Bilancio del Senato, a breve il disegno di legge approderà in Commissione Lavoro e, qui, comincerà la discussione vera è propria.
E’ solo l’inizio di un percorso. Tuttavia si tratta di un vero e proprio passo avanti nel processo di promozione dello smart working.
Ma, ciò che è rilevante, è che tali norme fanno riferimento esplicitamente alla possibilità di applicazione, ove compatibili, anche ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, in coerenza con quanto contenuto nella riforma “Madia” approvata lo scorso agosto.
Una legge in cui, all’art 14, si chiede espressamente di adottare misure organizzative per “l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione … di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera”.
Ovviamente raggiungere il 10% in 3 anni rappresenta un traguardo ambizioso ma, a dispetto dell’attuale scarsa diffusione, lo smart working nella Pubblica Amministrazione da oggi non solo è possibile, ma si è trasformato in un obiettivo da raggiungere. Niente più vincoli, né alibi normativi, insomma.