Pietro racconta la sua esperienza di volontario

Sono persone che hanno età e storie diverse, ma tutte mosse dallo stesso desiderio: regalare un sorriso ai bambini e ai ragazzi ospitati nelle comunità per minori in attesa di trovare una famiglia che li accolga per un periodo più o meno lungo della loro vita.

Pietro è uno di loro. La sua esperienza è stata lunga e significativa: “Il mio impegno di volontario è stato arricchente, soprattutto, sotto il profilo umano. Sono stato vicino a questi bambini per dieci anni. Ne ho conosciuti tanti, molti in età scolare.  Mi hanno regalato momenti di grande gioia e qualche sofferenza di fronte alla disarmante e muta richiesta di aiuto.  I ragazzini vogliono ridere, giocare, saltare, essere ascoltati, hanno bisogno di figure di riferimento con cui condividere le cose che fanno. Aspirano ad avere una vita e rapporti normali. Normalità è fare i compiti insieme, è andare al cinema nel fine settimana.  Poi ho scoperto che qualcuno di loro una sala cinematografica non l’aveva mai vista: ’Questo è un cinema? È fatto così?’”.

Comincia così il racconto di Pietro che, insieme a un gruppo di amici, ha iniziato casualmente questo percorso di volontariato, che “raccomanda di condividere con altri perché altrimenti si resta inghiottiti dalla tristezza. I bambini non ne hanno bisogno, la malinconia è già nel loro animo. E poi in gruppo è più facile gestire i rapporti ed evitare legami troppo intensi che, inevitabilmente, nascono tra le persone. Tra i tanti ho un ricordo ancora vivido nella mente, un viaggio a Lourdes in pullman. In particolare ricordo la sera, quando abbiamo messo a dormire i ragazzini. Si sono sdraiati incastrandosi l’un l’altro sui sedili. C’era un’atmosfera magica fatta di silenzi, risatine trattenute e parole sussurrate al compagno vicino e poi, dopo un po’ è arrivato il silenzio. È stato bellissimo!”.

“Non ho mai pensato di risolvere i loro problemi, ma, semplicemente, di regalare a questi bambini momenti di serenità. In qualche caso, come con i piccoli abusati, è stata necessaria una preparazione per accoglierli in modo adeguato. Su questa strada ho tracciato il mio impegno. Erano ragazzini come gli altri, diretti come di solito sono alla loro età. Una franchezza che, qualche volta sconcertava, come quando, ed era una domanda ricorrente, guardandomi dritto negli occhi mi chiedevano: ‘Quanto ti pagano per venire a giocare con noi?’. Non riuscivano a capire com’era possibile che un adulto potesse dedicare una parte del proprio tempo a qualcuno con cui non aveva alcun legame di parentela”.

Un insegnamento che ha lasciato un segno indelebile nell’animo di Pietro, oggi papà di una bimba di nove anni: “Molto di quanto ho maturato in quegli anni mi ha guidato e mi ispira nel mio ruolo di padre.  Ho imparato, soprattutto, ad ascoltare i bambini e a comprendere i loro bisogni”.