Cosa leggere? “55 giorni – voci e carte dalla prigione”, di Aldo Moro


Il 4 maggio 1978 (negli ultimi giorni del sequestro di Aldo Moro) un editoriale de “L’Unità” scriveva: “Perché le indagini sul rapimento di Moro non vanno avanti?……C’è una sensazione che si fa sempre più netta (…) che ciò che paralizza le indagini non vada cercato soltanto sul terreno delle insufficienze tecniche, ma che essi si blocchino perché nella loro strada incontrano oscuri quanto protetti “santuari”.

Nel marzo del 2001, inoltre, si chiudevano definitivamente i lavori della Commissione Stragi che secondo Vladimiro Satta, che scrisse “Odissea nel caso Moro” nel 2003, la verità giudiziaria emersa nel corso dei cinque dibattimenti dedicati al caso Moro non manca di solidità e plausibilità, e nonostante ogni interrogativo ancora aperto e le perduranti reticenze, le strumentalizzazioni di qualsiasi segno non favoriscono certo lo stabilirsi della verità storica.

Anche il cinema ha detto la sua con “Piazza delle cinque lune” di Martinelli e “Buongiorno notte” di Bellocchio.
In questo intricato panorama in cui la logica dell’indagine si mescola non di rado con l’inesausta riproduzione dell’interrogativo: “a chi ha giovato veramente il sequestro Moro?”

Il volume “voci e carte dalla prigione” (proposto da L’Unità) sceglie esplicitamente di non inseguire alcuna ipotesi interpretativa, e di limitarsi a presentare le carte emerse dalla prigionia dello statista democristiano durante i terribili “55 giorni”.

Semplicemente si propone la cronologia dei fatti accertati con sicurezza dalle indagini, tristemente scandita da nove comunicati delle Brigate Rosse, dal celebre e falso “Comunicato n°7” (quello che annunciava l’esecuzione di Moro e l’abbandono del suo corpo nelle acque del lago della Duchessa) e accompagnata dalla copiosa redazione di lettere e missive con cui Moro cercava di comunicare con i propri cari, con colleghi di partito, con personalità che avrebbero a vario titolo potuto intercedere in favore della trattativa e della sua liberazione.

E’ noto che, nei drammatici giorni che intercorrono fra il 16 marzo e l’assassinio dello statista, le forze politiche – in questo confortate da ampia parte della società civile e dell’opinione pubblica – si schierarono (con la sola significativa eccezione del PSI) in favore della linea “dura” orientata al rifiuto di qualsiasi cedimento al ricatto delle Br.

La pubblicazione costruita e pensata intorno alle ultime lettere dello statista ucciso hanno suscitato nel regista Marco Baliani (Corpo di Stato-2003) l’affermazione: “Fin dalla comparsa delle sue prime lettere dalla prigione tutti si affrettarono a dimostrare che non poteva averle scritte lui: grafia incerta, parole non sue, pensiero non suo, scritture infantili”.

Più Moro tentava di comunicare, di farsi capire, di trovare una qualche soluzione, più tutti intorno si affrettavano a screditarlo, a farlo passare per unoincapace di intendere e di volere.

Nel complicatissimo “affaire”, come ebbe a definirlo Sciascia, il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro vide presto trasformarsi l’apparente vittoria militare delle Br, condotta all’insegna della più spietata ferocia, nella loro inevitabile sconfitta politica.
Eppure in questa complessa dinamica, non di rado fu la genuinità stessa delle missive dello statista ad essere messa in dubbio con troppa fretta, dalla politica all’opinione pubblica.

Ma esse meritano di essere tenute nella debita considerazione, quale estremo tentativo con cui l’umano Aldo Moro cercò di entrare in comunicazione con il mondo esterno alla prigione in cui trascorse gli ultimi, drammatici momenti della sua esistenza.

di Antonella Gilpi