Incontro nazionale rete Re.a.dy.

di Raffaela Gentile

Si conclude oggi l’incontro nazionale della rete Re.a.dy – Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, In questi due giorni sono state definite le proposte operative e organizzative di una rete cui oggi aderiscono ben 124 Amministrazioni locali (erano solo 20 nel 2011).

Ieri all’incontro tra le amministrazioni che partecipano alla rete Re.a.dy. si è discusso, in particolare, su quali strumenti adottare al fine di sviluppare maggiormente la propria efficacia sui rispettivi territori.

 

L’assessore alle politiche giovanili, Marco Giusta ha annunciato che dal prossimo anno l’appuntamento nazionale della rete Re.a.dy sarà itinerante. L’edizione del 2018 avrà luogo a Bologna.  “Le famiglie arcobaleno” sarà invece il tema della mostra fotografica che verrà inaugurata il 17 maggio del prossimo anno in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia
Oggi pomeriggio nella sala Bobbio della Curia Maxima sono stati illustrati i dati della ricerca “Be Proud! Speak Out!”. Per la prima volta in Italia questa analisi è stata svolta coinvolgendo direttamente studentesse e studenti senza l’intermediazione dell’istituzione scolastica. Lo studio sulle identità LGBTQI e il bullismo a sfondo omobitransfobico ha coinvolto un campione significativo,  il  più ampio finora intervistato.

La ricerca, rivolta a giovani che si identificano come lesbiche, gay, bisessualie trans, è stata effettuata attraverso un modulo online. Il campione (1117 ragazze/i) è stato raggiunto tramite social network in un periodo compreso tra giugno e settembre 2017.

Le caratteristiche necessarie per la compilazione erano di essere tra i 13 e i 20 anni, identificarsi come LGBTQI ed aver frequentato un qualsiasi tipo di scuola nell’anno scolastico che si era appena concluso.

Il gruppo di lavoro italiano ha convolto le associazioni  Centro Risorse LGBTI e Il progetto Alice; invece un team statunitense, composto da alcuni ricercatori della Columbia University di New York e da GLSEN -Gay, Lesbian & Straight Education Network, si occuperà del  coordinamento internazionale, dell’analisi dei dati provenienti da Italia, Polonia, Belgio, Portogallo, Malta e Islanda, e, infine, della stesura del report.

“Dai primi dati che stiamo ancora elaborando – ha detto formatrice Valeria Roberti – si evince che le scuole non sono un ambiente accogliente, l’ostilità omofoba che si percepisce non è smaccata, ma è sottile: ad esempio, il 50% degli intervistati dichiara di sentire spesso commenti omofobi e, anche se i docenti non fanno commenti discriminatori di genere, la loro colpa, se così si può dire, è quella di non affrontare apertamente il tema.

Dall’indagine (i cui dati sono a disposizione all’indirizzo http://www.risorselgbti.eu) si evince, fra l’altro, che il 36% degli intervistati sostiene che a scuola  la parola “gay” viene usata spesso in modo dispregiativo, ma che solo il 3,1% dei docenti usa fare commenti omofobi. Sempre restando in ambito scolastico il 26% degli intervistati ha dichiarato che nella propria scuola esiste un regolamento a proposito di bullismo, ma che nel 51% di questi non si parla di identità di genere o di espressioni di genere.

A seguire è intervenuta la sociologa Graziella Priulla, ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Catania. Il suo intervento ha posto l’accento sugli stereotipi sessisti e sul linguaggio dell’odio.

“Nella  società italiana e in generale in  quelle occidentali – sottolinea la sociologa –  le differenze di genere, etnia, orientamento sessuale, ecc. vengono accettate e, coerenti  con il politicamente corretto,  nelle occasioni ufficiali sono tutti d’accordo nell’utilizzare i nomi giusti. Ma, purtroppo, c’è ancora uno scarto tra le  dichiarazioni di principio e i comportamenti quotidiani, i quali anche se a volte  sembrano banali e innocui fanno male. Girando per le scuole abbiamo notato  che l’uso di un linguaggio offensivo fa sì  che la scuola non sia vissuta quale luogo di amicizia e di agio, bensì  diventi un posto talvolta orribile per chi è oggetto di linguaggio offensivo”.