Can white man sing the blues? L’esperienza dei Blues Brothers

di Carolina Viglino, DAMS, Università di Torino

Nel pomeriggio di ieri, nella cornice del Circolo dei Lettori di via Bogino 9, si è svolto il terzo incontro nell’ambito del Torino Jazz Festival. La conferenza intendeva dare una prospettiva storica e critica intorno al fenomeno dei Blues Brothers. Per parlare di questa autorità assoluta non poteva che intervenire uno dei maggiori musicologi di area pop e rock della scena artistica italiana, Riccardo Bertoncelli.

Il critico ha esordito subito col dire che il grande segreto di questi comici uomini bianchi non è stato quello di aver inventato qualcosa, ma di aver saputo architettare un modo innovativo e originale di trasmissione del “rythme blues” appartenente alla musica nera. Tutto iniziò, ha ricordato Bertoncelli, con l’apparizione di Dan Aykroyd e John Belushi in Saturday Night Live il 22 aprile 1978, durante il quale John interpretò un pezzo di blues moderno, I’m a King Bee, travestito da ape. Dopo le risate scaturite dalla proiezione del buffo sketch musicale, il musicologo è passato ad analizzare il pezzo “Sweet home Chicago” interpretato dai Blues Brothers nel 1981 e quello del 1936 del cantautore e chitarrista statunitense Robert Johnson, caratterizzato da un velo più profondo e malinconico.

Dopo l’ascolto di questi due capolavori, il critico ha tracciato un po’ le fila dell’esperienza musicale della band e ha puntualizzato che i Blues Brothers, in sostanza, ripresero il Blues antico, fecero dei veri e propri prestiti d’autore, e li ricomposero alla loro maniera. Tuttavia, ha aggiunto, tutto questo sarebbe rimasto entro confini limitati se non ci fosse stato il film che con grande intelligenza coinvolse personaggi eccezionali quali Aretha Franklin e Ray Charles.

La conferenza è terminata con Bertoncelli che ha ricordato agli ospiti il grande concerto del 2 giugno in piazza San Carlo con l’Original Blues Brothers Band e ha svelato, inaspettatamente, una piccola curiosità: “si narra, cari spettatori, che Robert Johnson avesse stretto un patto col Diavolo, vendendogli la sua anima in cambio della capacità di poter suonare la chitarra come nessun altro al mondo.”